Parlano di noi – Reportage di Livia Zancaner per Radio24 e Alley Oop

Ci fa piacere condividere questo bel reportage realizzato da Livia Zancaner dopo essere venuta a trovarci qualche settimana fa, andato in onda su Radio24 e pubblicato su Alley Oop – Il Sole 24 Ore. Oltre ad esporre le maggiori criticità rilevate dagli operatori del settore sulle comunità per minorenni in Italia, la giornalista dedica ampio spazio ad un attento racconto della nostra realtà.

 “L’Associazione CAF, attiva sul territorio milanese dal 1979, gestisce 4 strutture: la comunità per minorenni 3-12 anni; la comunità 12 – 18; il centro educativo diurno; l’alloggio di semi autonomia. La nostra visita si è focalizzata sulla comunità per minorenni, divisa a sua volta in tre appartamenti con 10 bambini e 7 educatori ciascuno, per un totale di 30 bambini e 21 educatori. Qui i ragazzi arrivano dopo la segnalazione dei servizi sociali e un decreto del Tribunale per i minorenni, che stabilisce l’allontanamento dalla famiglia d’origine. Tra i motivi principali: maltrattamenti fisici e psicologici, grave conflitto familiare e violenza assistita, presunti abusi sessuali, grave trascuratezza e incuria, spiega Paola Gobbi, pedagogista referente della Comunità per minorenni.

Quando arrivano, i bambini sono spaventati, piangono se sentono una sirena, una porta sbattere, un tono di voce più alto. Cerchiamo di metterli a proprio agio, presentiamo loro gli spazi, le camerette, gli altri bimbi. Spieghiamo loro cos’è la comunità, cerchiamo di rassicurali. Il primo giorno è sempre il più difficile e hanno un educatore dedicato – continua Gobbi. Sulle porte di ingresso dei tre appartamenti sono scritti i nomi: Folletti, Gnomi ed Elfi, i più piccoli. Le stanze sono coloratissime, con disegni alle pareti, libri, pupazzi. Le camerette dei bimbi sono azzurre, con macchinine e dinosauri dappertutto. Quelle delle bambine rosa, con unicorni e bambole. Alle pareti ci sono i tabelloni con le date dei compleanni, i cibi preferiti e le attività. Tutto è costruito per loro, per farli stare bene, ma la sofferenza è molta.

Le giornate si svolgono sostanzialmente come quelli dei loro coetanei. La mattina c’è la corsa per prepararsi e andare scuola, accompagnati da educatori ed educatrici, che partecipano a riunioni e colloqui: solitamente i bambini e i ragazzi frequentano le strutture intorno all’Associazione, nella periferia milanese. Terminate le lezioni, i bimbi e le bimbe rientrano in comunità, dove possono invitare amici e compagni. Fanno merenda, i compiti, poi le varie attività: calcio, danza, nuoto, equitazione, ognuno può scegliere lo sport che preferisce. Nel week end ci sono le gited’estate le vacanze al maredi inverno in montagna: attività possibili soprattutto grazie alla raccolta fondi.

Fondamentale il percorso terapeutico. Al CAF ci sono psicologhe che si occupano della rielaborazione dei traumi vissuti. A volte i ragazzi sono felici di fare terapia, un’ora di rapporto esclusivo con un educatore per questi bambini è una rarità, racconta Laura Calabresi, psicoterapeuta, responsabile clinica e consigliera delegata dell’Associazione CAF. Cerchiamo di spiegare loro che il luogo sicuro non è solo quel posto dove non c’è la violenza, ma anche dove il bambino sa che può mangiare tre volte al giorno, trovare il fresco quando ha caldo e il caldo quando ha freddo”. Fondamentale per i bambini è la ripetitività delle regole, capire che si possono fidare dell’adulto perché mantiene la parola data. Poi c’è l’altro obiettivo: ricostruire e condividere la propria storia.  I bambini tra loro raccontano le esperienze vissute, ovviamente non tutti, qualcuno non riesce. “Il lavoro con questi bambini è meraviglioso, col trascorrere del tempo vediamo cambiamenti pazzeschi: da ragazzini in allerta e spaventati diventano meno tesi e più sereni, capaci di esprimere le loro emozioni, molto competenti dal punta di vita relazionale”, precisa Calabresi.

Ma il pensiero è sempre là, alle loro famiglie, con cui avvengono incontri periodici, alcuni direttamente all’interno della struttura, altri nello spazio neutro, dove i minori sono accompagnati dagli educatoriI bimbi chiedono continuamente della mamma e del papà – raccontano gli educatori – la mancanza della famiglia è sempre presente, ci sono momenti di grossa fatica, soprattutto dopo gli incontri protetti, che spesso avvengono una volta al mese. Le visite sono momenti speciali, ma questi genitori ci sono sempre. C’è una mamma nascosta che ha una potenza simbolica ed emotiva enorme e noi trattiamo questo rapporto con grande rispetto. In nessun modo devono sentire un giudizio da parte nostra sulla loro mamma e sul loro papà. Nella mente del bimbo i genitori ci sono sempre, noi non dobbiamo sostituirci a loro, non è il nostro compito. Dobbiamo aiutarli a riconoscere quello che è successo e le responsabilità che ci sono state. I bimbi devono capire che non hanno alcuna colpa”.

Il tempo medio di permanenza in comunità è di 2 anni, un anno per i più piccoli che vanno facilmente in affido, mentre per i 10-11enni la situazione è più complessa. Chi resta in comunità viene indirizzato alle strutture per adolescenti e dopo i 18 anni fino ai 21 agli alloggi di semi autonomia.  Anche i professionisti dell’Associazione CAF sottolineano però come non siano disponibili dati sui giovani una volta usciti dalla comunità. A volte i più grandi quando escono restano in contatto, perché, anche se faticoso, vivere sempre insieme per loro è fondamentale.  Così, spesso, alla sofferenza di stare in comunità senza la propria famiglia, si aggiunge quella del distacco con i compagni, la fatica di lasciare un fratello o una sorella, per chi va via e per chi resta.”

Ascolta l’intero reportage su Radio 24 oppure leggi l’articolo su Alley Oop – Il Sole 24 Ore.

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